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Andrea Bajani: L’anniversario

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Andrea Bajani: L’anniversario

Andrea Bajani: L’anniversario

Tolstoj lo ha dichiarato in maniera plateale: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo». Le famiglie infelici, oggi definite disfunzionali sono tutte diverse, ma alcune sono talmente opprimenti che c’è un unico modo per sottrarsi al carico schiacciante: fuggire. E lo sa bene il protagonista di questo romanzo, perché lui l’ha fatto, ha lasciato la casa dei genitori per non tornarci mai più, e allo scadere del decimo anniversario, decide di raccontare, in maniera asettica e oggettiva, la sua “famiglia sventurata”.

Il suo allontanamento volontario è stato una sorta di cancellazione totale:


«Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.»


Leggendo le pagine di questo romanzo si soffre immensamente per e con il protagonista, ad ogni pagina si spera che lui trovi la forza per andarsene, lasciare quell’inferno domestico dove i componenti della famiglia madre, figlia, figlio, sono messi sotto scacco da un padre padrone, in un regime repressivo e totalitario.


La figura della madre, centrale nel romanzo, è tracciata con precisione chirurgica, il suo vivere sottomesso e in subordinazione diventa quasi trasparenza, c’è ma è come se non ci fosse, non ha parola, tiene lo sguardo altrove. E allora capiamo che è per lei che il protagonista ha resistito tutto quel tempo, che si è fatto accomodante, conciliante, remissivo.


«Ero io l’unico che poteva scongiurare l’esplosione, l’unico a cui mio padre non solo permetteva l’accesso ma a cui chiedeva una prossimità tale, esclusiva e completa, da consentire il disinnesco.»


La sola persona ad avere un guizzo di ammutinamento nelle scene di vita familiare è la sorella, che non partecipa allo scempio quotidiano, da cui si sottrae con mutismi e dileguamenti tattici.


«Autoconsegnarmi a mio padre perché la deflagrazione non si verificasse era la mia occupazione principale. Ed è quello che mia sorella mi rinfacciava sopra tutto: invece della lotta congiunta con il tiranno, la prostituzione.»


Nel romanzo la tensione non allenta mai, eppure è un “libro scandalosamente calmo” come lo ha ben definito Emmanuel Carrère (citazione dalla fascetta). E in questa apparente calma, che sembra impossibile da modificare, l’io del protagonista si sfilaccia, perde forma, si annienta fino a quando la consapevolezza di scivolare verso la follia diventa la molla che lo costringe allo strappo. O loro o io, sembra dire il protagonista, assolvendosi per quell’atto temerario di coraggio che in pochi osano compiere.


Buona lettura e alla prossima!


Fabiola


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